Ma cosa fai lì impalato?
Siediti, guarda che belle poltrone ci hanno messo davanti.
Ti sei seduto?
La borsa, lo smartphone, hai controllato tutto?
Respira….
La vuoi sentire la nostra storia?
Ritagli. Ecco tutto.
Ritagli.
Mettiti l’anima in pace:
con i ritagli non si fa arte.
L’UOMO A PEZZI (SCHIZOFRENIA):
Guardatemi!
LUI mi ha fatto davvero a pezzettini.
Riuscite a vedere la mia testa?
Eppure vi assciuro che c’è.
E’ che mi sento oppresso da tante forze contrastanti.
Mi sento a pezzi.
SPERMATOZOI:
Ma è solo uno stato d’animo.
Come il mio.
Perchè mi ha fatto?
Ritagli, sì, ma forse si sentiva creativo.
Voleva fare un figlio, ecco che vi dico!
GARBUGLIO:
La fai semplice tu… che te ne vai in giro a creare guai.
Il mio pensiero è un po’ contorto… ma se riesco a ritrovare il filo…
Ecco, sì, confermo: ritagli, ecco cosa siamo.
ADRENALINA:
Quando sento questi discorsi mi sale il sangue al cervello!
Nell’inceneritore dovevamo finire!
Se siamo qui è perchè siamo stati salvati.
LUI ci ha salvato.
Voleva rappresentare quattro stati d’animo che Lui stesso ha vissuto e che chiunque al mondo, anche per una sola volta, è condannato a vivere.
SPERMATOZOI:
Vuoi passare oltre?
Non ti accontenti di noi?
Ma sta attento!
Dovrai
passare accanto a quel
coso, veramente orribile,
che si muove anche,
e gira… gira…
Virus Victus:
Girare giro ancora. Ma sono
loro che mi fanno girare:
ora di qua, ora di là. E poi io
non sono orribile…
veramente mi piaccio così
come sono, ma se mi fanno
girare inevitabilmente
qualcosa si modifica in me
e mi piace altrettanto.
Le chiamano varianti,
ma sapete che vi dico?
Le montagne russe,
l’ottovolante non sono niente.
Pensate voi che fatica
compiere in pochi anni quel
che voi non siete
riusciti a compiere
in millenni!
Ma passate, passate,
LUI che mi ha fatto da scarti
di ogni risma mi ha fatto
innocuo.
Non so se sarà innocuo quel
che ti aspetta di là.
LUI, L’AUTORE:
Scusate se mi intrometto, visto che mi tirate sempre in ballo.
Sì, vi ho salvato dal sacco.
Ho visto in voi una possibilità.
Mi piace trasformare le cose e poi, ve lo confesso, diventa un’ossessione.
Voi siete lì, ignari di tutto, selezionati, gli uni appresso agli altri e vi sentite bene così, non vi importa del futuro, avete svolto egeregiamente il vostro compito, forse vi sarà arrivato il sentore della fine che fanno i vostri simili, ma, inerti, vi affidate alla fortuna.
Per me che vi ho preso in carico, separati e selezionati, ecco il dilemma: lasciarvi al vostro destino, il fuoco.
Immolati agli dei del consumo, o invece, darvi nuova vita, fare come gli Dei dell’Olimpo: non uccidevano, ti trasformavano (Metamorfosi le chiamavano), e ti eternavano nella nuova condizione.
Ma forse può chiarie, la mia di condizione, una preghiera che scrissi molti anni fa, alla fine di un periodo di grande sofferenza:
Spezzando un solo anello
la catena si rompe.
Dura solo un attimo
l’ebrezza della libertà:
non basta la vita intera
passata a spezzar catene
a liberarci dal viluppo in cui siamo avvolti.
Da schiavi arriveremo alla fine.
All’uomo è dato un solo modo di essere libero:
creare,
fatto a immagine di Dio.
il proprio universo,
la propria personale genesi,
un firmamento nuovo.
IL PORTABOTTIGLIE:
Ohè, ma la volete finire?
Vieni, vieni, qui si cambia aria,
qui si gode, bando alle tribolazioni, qui c’è tutto quello di cui puoi aver bisogno:
comodità, ebbrezza, fuga dalla realtà.
Siediti comodo.
IL DIVANO:
Mi sono arrivate voci che di là parlano di ritagli.
Mi fanno ridere, non conoscono il mondo.
Ma non lo sanno che ci sono i ritagli dei ritagli e i ritagli dei ritagli dei ritagli e così all’infinito?
Scusate, mi sono lasciato prendere la mano.
Noi siamo finiti, non abbiammo accesso all’infinito, ma finiti per finiti, vi sembra poco fino all’ultimo pezzettino della nostra finitezza?
Sono fiero di me, c’è qualcosa che mi lega ancora a quelli di là, non so.
Ti puoi sedere se vuoi, mettiti comodo.
Non su di me, Escluso su di me!
Di fronte per favore, e guardate quanto valete.
Sapete, io temo l’usura.
Ma non quella del tempo, no, proprio l’usura provocata dai vostri fondoschiena: non rispettano nulla, non hanno cura di nulla, sempre pronti a sgravare il proprio peso su qualcosa di morbido.
IL PORTABOTTIGLIE:
Ma siete ancora là?
Qui c’è posto, accomodatevi.
Venite signori finalmente a godere.
Ecco, siamo fatti di vuoto, atto a contenere un contenitore atto a contenere.
Poco chiaro?
Parliamo in concreto:
Hai presente quei bicchieroni di carta sempre traboccanti di pop corn o coca cola?
Noi eravamo lì, ma ne abbiamo fatta di strada.
Volete mette il vino?
Affusolate bottiglie, dalle mille etichette, sempre ben chiuse a contenere il gusto della terra e del sole, che godimento!
Ma ci vogliono i soldi, tanti soldi.
Ho un’idea. Tu lo puoi fare.
Bevi una bottiglia, e poi due, vedi sono numerate da uno a novanta, poi la terza e la quarta, con gli amici si intende!
Puoi continuare e poi giocando tentare la fortuna.
Se non ti arride lei, rimarrai consolato dal fuoco che il sangue della terra accenderà in te.
DOLMEN:
Ho per caso sentito parlare di soldi?
Allora dovete venire da questa parte, ascoltate la mia voce.
Qui dentro sono l’unico cha ha quattro vite.
Sono il patriarca.
Gran parte della mia conoscenza deriva dalla prima, di vita.
Sono stato albero e su questo non ci piove, poi tagliato e ridotto a tavole, e anche su questo non ci piove, ma non ti vanno a fabbricare, sezionandomi, dei sostegni?! Sostegni di che? Ma di persone.
Ogni pezzo una persona, e così per ore, per anni, per decenni.
Beh! Arriva il momento che si smantella tutto, si fa la cernita:
chi si salva se può ancora servire e chi è avviato all’annientamento.
Beh! LUI ci ha avuto occhio: legno massello di antichi faggi cresciuti sulle Alpi. Ma ci ha degradato! Trasformati in parquet. Calpestati, maltrattati da gente di ogni dove e infine in gran parte rovinati.
I migliori di noi ancira una volta salvati da quel LUI gentile che, non sapendo che fine farci fare, ci ha messo al freddo, all’umido, preda di tarli, per consolarci di essere ancora vivi.
Poi, eccoci trasformati in tavolo dalle tavole diseguali, ma ecco il briccone cosa fa: invece di spianarci, renderci regolari, magari abbellirci con qualche estetismo, no! LUI ci scava, ci corrode, ci consuma a rendere palese l’intera corruzione.
E sia… anche così non era male.
Ma dove ti vedo il suo intento criminale? Un normale poggiapiede, che poi rende solida la struttura, lo va a rivestire d’oro.
E oro zecchino! Qui c’è l’inghippo, ma come si fa a mettere vicino due cose così distanti?
L’oro lo sanno tutti quello è e quello rimane.
Lo puoi sottoporre a tutte le prove, rimane se stesso, anche ridotto in fili o lamine sottilissime.
E tutto il resto no! Ma cosme si fa a mettere assieme due cose così distanti?
Mi sono vendicato:
trasportato finito dall’umido di un magazzino al tepore di una casa mi sono un po’ contratto, ma anche stiracchiato.
Ora sto bene. Beh! Si sono aperte nuove crepe, i margini non sono più uniformi… ma ben gli sta.
La potevo passare liscia? Ha approfittato anche di questo.
Le crepe le ha allargate, trasformate in rivoli che percorrono come un reticolo il piano.
E orrore! Cercavamo, avendo accettato i rivoli, di indurre LUI a colorarci di un bel colore azzurro turchese, e invece se ne esce con il rosso sangue. Ma si può?
LUI, L’AUTORE:
É il colore che più si addice all’epoca, ma ecco mi arriva in soccorso un’altra preghiera, dove chi ha parlato prima è anche citato:
Il tempo, l’acqua, il vento
corrompendo la terra
sono responsabili
dei più belli(?) dei panorami al mondo.
E io stesso,
da tavole dai molteplici usi
ricavai, accentuandone l’interna corruzione
il desco delle mie meditazioni.
É la voce di Eraclito
che nel sottofono della storia risuona palese.
Per chi sente la corruzione del tempo
come la lima dello scultore
non serve contemplare i trucioli,
nè la lima,
ma la bellezza dell’opera
eternamente in fieri
che mai sarà completata.
LA SEDIA:
Huuuu… ma che è sta filosofia… posso dire la mia?
Non gli date retta!
Al mio augusto c0llega che si dà tanto lustro vorrei ricordare che è marcio dentro e poi, ve lo assicuro, a stento riesce a reggere delle carte.
Ora, non faccio per vantarmi, io reggo ben altro!
Io sono quasi nuova!
E poi qualche rughetta non guasta, trovo che dia distinzione… appunto, ho già una fila di potenti bramosi di poggiare le loro eminentissime chiappe per firmare documenti essenziali alla prosecuzione della vita dell’uomo sulla Terra.
LUI, L’AUTORE:
Per voi potrà essere utile la storia del diamante.
“Come sto bene”,
disse il diamante,
appena uscito
da un’eruzione colossale.
La forma: perfetta,
due piramidi sovrapposte.
L’essenza:
limpida acqua di mare
che rifletta un cielo turchino.
“Vivrò in eterno”,
disse il diamante,
quando, col passare del tempo,
realizzò
che la sua impareggiabile durezza
faceva poltiglia
di ciò che gli impediva il moto.
“Poi è arrivata lei”,
disse il diamante,
con una forza sconvolgente
che tutto travolse.
Si chiamava: “l’acqua”.
La sentiva sorella:
la forma liquida
di ciò che lui stesso era.
“Mi ritrovai in un fiume”,
disse il diamante.
Dalle alterne correnti
ripetutamente sballottato
cambiò d’aspetto.
Ora lo sa quanto troppa durezza
s’accompagni spesso
con estrema fragilità.
“Arrivai alla valle”,
disse il diamante.
Sembrava il paradiso.
Affondato nella tipeida sabbia
pensava le tribolazioni finite.
Scavarono l’intero greto del fiume
e lui ci stava dentro.
Finì nelle loro mani.
“Mi scrutarono da ogni angolazione”,
disse il diamante.
Sviscerarono ogni singolo difetto:
ricorda ancora oggi con orrore
le mani e gli occhi,
le bilance e gli strumenti
coi quali lo classificarono.
“Sono arrivato in città”,
disse il diamante.
Un’atmosfera ovattata.
Avvolto in un morbido panno
era mostrato a poche
selezionatissime persone
che l’accoglievano sempre
con un “ooh” di meraviglia.
“Faranno di me una stella”,
disse il diamante.
finito niente meno nelle mani
dell’abile tagliatore di pietre Kant.
Lo ha fatto a pezzi
con discernimento
usando tutta la sua filosofia.
“La via è appena incominciata”,
disse il diamante.
Abraso in ogni sua parte,
solo dopo un patimento infinito,
scoprì le sue tante facce
talmente lucide
da riflettere l’intero firmamento.
“Sono sulla corona del re”.
disse il diamante.
Fu seppellito al buio
dietro solide pareti corazzate
salvo resuscitare un giorno
in fastose cerimonie di potere.
“Quello che sono stato sono”,
disse il diamante.
Vivrà forse mill’anni,
esposto in un’inattaccabile teca
allo sguardo cupido della gente,
che mai vedrà,
oltre gli sbrilluccichii,
l’assenza vera:
il fuoco, che mai potrà covare
in questo sventurato pezzo di carbone.
I NUMERI:
Uuh!
Ma che sbrilluccichii, venite alla fonte.
Venite di qua, c’è posto, sedetevi e state comodi e sentite la nostra se vi va.
Sempre che i numeri non vi spaventino!
Ma no, siamo qui per questo.
Per colmare finalmente questa avversione che proviene certamente da un cattivo insegnamento.
E che non li sentiamo quelli dall’altra parte?
Si vantano… quello che arriva a novanta si vanta… e quelli che contano i soldi per cifre colossali si vantano… ma quanti soldi si possono fare?
Saranno sempre spiccioli… non faccio per vantarmi…
lo vedete da voi…
noi siamo l’universo dei numeri.
Questo vi lascia attoniti? Non ci siete avvezzi?
Qui non ci sono scappatoie… un attimo di pazienza… cerchiamo di capirci:
l’unità di misura universalmente riconosciuta come più grande è la velocità della luce; 300.000 chilometri al sedondo.
Bene… si valuta che l’età dell’universo sia di circa 20 miliardi di anni… bene… otterrete una cifra grandissima di 16 cifre messe in fila… ecco… se non consideriamo i chilometri, ma la più piccola unità rilevata di spazio, che so, un miliardesimo di miliardesimo di millimetro (diciannove cifre)… e va bene… fate così anche col tempo… anche lì si va alti coi numeri: centomila miliardesimi di milardesimi di secondo (ventiquattro cifre: siamo vinissimi al Big-Bang), cosa avete ottenuto? Una cifra ridicola di non so quante… 50… 60… 100 cifre messe in fila… ci sarebbe da ridere… e lo facciamo spesso.
Noi, qui, con una serie di 1960 numeri messi in fila siamo convinti di contenere l’intero universo… e l’antiuniverso se c’è… ci beffiamo di tutto e tutto conteniamo… anche te, gentile visitatore.
BABHEL:
Ma io ci sono in mezzo!
Ecco, il visitatore, magari, sarà più avvezzo ai miei di simboli, che ai tuoi.
I miei sono stati inventati per permettere al genere umano di comunicare.
Per lasciare testimonianza degli avvenimenti del passato.
Ecco…vedete…il mio nome evoca l’evento più tragico della storia umana: quando gli uomini hanno finito di capirsi fra di loro.
Uomini e donne, genitori e figli, popoli che fino ad allora parlavano la stessa lingua non si capivano più.
Una Babele.
E un’opera incompiuta: la Torre. La spirale infinita che voleva arrivare al cielo.
Ecco…se qualcosa è cambiato lo capirò dall’espressione di un viso.
Sono rimasti pochi che parlano la mia lingua.
La lingua di allora.
GLI SCACCHI:
L’avete finita?!
Voi infastidite la gente con la vostra presunzione.
Che prosopopea, addirittura l’Universo! La Bibbia!
Abbassate le ali. Io la so la vostra storia.
siete stati salvati per amore di mamma.
La sua di mamma, di LUI.
Le piacevano i ricami.
Oh, tutta una vita dedicata al ricamo.
E vuoi che LUI trovandoseli fra le mani, ricamati in oro e argento, non avesse compassione.
Poi, poi, poi, nella vostra lunga genesi, so chi si può fregiare del titolo di primo nato, addirittura come autoritratto dell’autore.
Un autoritratto di numeri? Ma che idea.
Eppure, metti la data di nascita, e quella che conoscono solo gli altri, siamo fatti di numeri, di codici, dall’inizio alla fine della nostra vita.
E poi VENTISEI lettere, quante combianzioni volete che diano?
Ho intodotto il discorso: parliamo di me.
Nasco dalla moltiplicazione per SEDICI della scacchiera degli scacchi, della dama, che tutti conoscete.
Mi chiedet perchè?
Perchè ci sono le guerre.
Cosa posso fare io?
Beh! Intanto dispongo di due eserciti che si affrontano seguendo regole precise.
Beh! Così non se ne sono mai visti al mondo, disposti su una scacchiera.
Sembrano forze illimitate adeguate allo scontro, eppure so già come va a finire: un’ecatombe di pezzi sacrificati alle astuzie e alle strategie dei due contendenti perchè uno solo alla fine possa dire: ho vinto.
LUI ci ha salvato da una fine ignomignosa, ma condannandoci a morire mille volte.
LUI, L’AUTORE:
É vero. Non sapevo come liberarmi di voi e ho fatto di voi due eserciti.
Non solo: anche il progetto di un gioco che potesse diffondersi nel mondo come un virus benefico, la riprova è la lettera che presentai al sindaco del Comune dove risiedo per presentarvi al mondo, col solo risultato che siete rimasti sepolti per altri sei anni.
Gent.mo Signor Sindaco,
Il miglior modo di evitare i conflitti è quello di simularli,
Ce lo insegna la natura.
Ce lo insegna l’antica saggezza umana,
quando usando pedine al posto di uomini,
come nel gioco degli scacchi,
permette ai due contendenti lo scontro totale,
fino all’annientamento del più debole,
senza versare una sola goccia di sangue.
Presentando il progetto “Great Chess”,
che usando le regole codificate degli scacchi,
ne ampia a dismisura le possibilità,
questo mi auguro:
che ogni pedina in più sia un uomo in armi in meno.
Monte Porzio Catone, 28/11/2016
GLI SCACCHI:
Avete sentito? Lo ha detto LUI:
A dis-mi-su-ra.
Non vi provate a cominciare una partita:
ci vorrebbero secoli per finirla.
É ora he prendiate il coraggio a due mani:
Per passare oltre dovete valicare LA PORTA.
Solo a guardarla fa paura.
Così piena di punte, di spine.
Eppure è circondata da tutte le costellazioni.
Dove porta non si sa.
Dà anche vaticini: oscuri.
Sembra che ci voglia un coraggio da leoni per passarci attraverso:
ma ogni essere vivente la attraversa almeno due volte nella vita.
LUI, L’AUTORE:
Così spaventate la gente. Non c’è niente dis erio in una rappresentazione di qualcosa che esiste. É solo un riflesso.
Ma riflesso per riflesso mi viene in mente una preghiera che ha raggiunto il quarto di secolo:
Quando le onde si placano
e l’acqua si fa calma
Arriva ai miei occhi stanchi
L’immagine del cielo
capovolta
e il mondo tutto essa contiene,
capovolto.
Allora s’apre agli occhi miei,
alla mia mente,
un gioco di riflessi
che a Te rimanda Signore:
perchè se non mi è dato di comprendere direttamente
la Tua luce,
saprò riconoscere dai Tuoi riflessi
riconscere la tua strada
che a Te conduce.
Il Faraone certamente
dispose un lago attorno alla piramide
per vederla,
assieme al suo riflesso
trasformarsi
nella forma pura
del cristallo di diamante.